Coronavirus, premonizione nella mostra "Memoria di un giardino" di Maria Luigia Gioffrè

Domenica 22 Marzo 2020 11:02 di Redazione CatanzaroPrima

Nota della Fondazione Armonie d'Arte.

"Alla luce degli accadimenti delle ultime settimane, della pandemia in atto, si rende ora opportuna una breve riflessione sul carattere sorprendentemente premonitore della ricerca di Maria Luigia Gioffrè e di questa mostra che, da un museo del sud italiano, lancia, seppure inconsapevolmente, una sorta di messaggio drammaticamente visionario.

E’ impressionante persino la sola visione delle immagini della mostra, sia quelle fotografiche e video esposte nei vari spazi, che quelle della parte installativa, soprattutto per la straordinaria coincidenza temporale della mostra con l’inizio di questa tragica condizione in cui siamo tutti posti oggi.

Ed ovviamente il lavoro della Gioffrè è ben antecedente alla pandemia in atto (2018 e 2019)

E persino il titolo della mostra, e più ancora i titoli della Trilogia di Performance esposta fotograficamente - Purgatorio di Primavera -  e della Performance esposta in video – Pangea – restituiscono un’inquietante evocazione di quanto sta ora effettivamente accadendo.

Terra brulla con vasi di rami secchi, uomo e donna con mascherine e tute di protezione, mappe geografiche lavate in acqua con confini politici che si sgretolano.

Di seguito il comunicato stampa prodotto per la presentazione".

 

COMUNICATO STAMPA

Memoria di un giardino è la prima mostra personale di Maria Luigia Gioffrè. Un percorso installativo all’interno del Museo delle Arti MARCA di Catanzaro, che opera una riflessione estetica sulla contemporaneità e le sue urgenze: il rapporto uomo - natura, centrale nel dibattito sull’anthropocene, il contrasto vita - morte, il desiderio.

Stanza dopo stanza, da fotografie, audiovisivi, suoni e installazioni emerge una trasfigurazione evocativa che trasforma il visitatore in attivatore dello spazio. L'infertilità della terra diventa il tratto di congiunzione immaginario tra l’Eden primordiale e il paesaggio apocalittico di un futuro non troppo lontano. Una “fine del mondo” evocata non in chiave biblica o di denuncia politica ma come racconto dell'archeologia di una natura passata e futura.

Da qui la scelta di un campo arato non-fertile, desertificato, su cui trovano posto rami secchi e vasi vuoti di vita. È lo sfondo della ricerca umana; di una ricerca primordiale, che si esprime con la ritualità di gesti semplici - quelli delle performance dell’artista in video- come lavare un atlante o arare il terreno. Nella prima sala è esposto un ciclo fotografico estratto da una complessa opera performativa, intitolata Purgatorio di Primavera (2018-2019) e ripartita in tre atti: Seminatrice, Eden e Preghiera, che, in sequenza, narrano la circolarità del tempo, di una fine e di un inizio indistinto, di uomini e donne le cui azioni appaiono sospese.

Nella trilogia si percepisce una gradatio visiva, che comincia con la grevità della Seminatrice, una donna nuda che semina e raccoglie piante secche su una terra brulla e tra moltitudine di vasi da cui non sboccia vita. Dalla solitudine archetipica della prima donna in uno scenario atemporale ad un contesto post-industriale: in Eden 2 figure umane non declinate, vestite con tute bianche asettiche e mascherine protettive, tentano la ricostruzione di un giardino dell’Eden, all’interno di un edificio decadente.

L’aporia resta tale anche in Preghiera: sulla scena c’è un’unica donna che cinge e prova a suonare un corno, in una situazione fisica precaria di grande instabilità. Il suo tentativo diventa così tensione e desiderio. Nella seconda sala due video: immagini dal Purgatorio di Primavera e da un’altra performance, Pangea.

Qui l'artista strappa le pagine di un atlante geografico, le immerge una ad una in un catino d’acqua: la carta è avata più volte fino a che si deteriora completamente. Il percorso della mostra continua con Il Giardino, installazione ambientale e immersiva.

Il giardino - 25 tonnellate di terriccio scuro in uno spazio di 150 metri quadrati circa – si snoda tra le pareti del museo, rivelandosi anche attraverso suoni alle origini dell’esistenza di ognuno, pianti di neonato e musica di carillon (Wiegenlied op. 49 n° 4 Guten Abend, gute Nacht di J.Brahms). Un progetto sonoro che diventa così memoria e al tempo stesso suono dell’aridità che circonda il fruitore.

Nell’ultima sala, “Lettere di non corrispondenza per un vuoto permanente”: un rotolo di carillon lungo 5 metri di lettere, in asemico, indirizzate a nessuno; una scrittura che parla nella voce ma non nella parola, gesto che non dice come nella ricerca dell’artista tedesca Irma Blank o nelle installazioni di Susan Hiller, l’artista americana e londinese d’adozione, scomparsa un anno fa.

La ricerca di Maria Luigia opera attraverso media differenti, indagando i processi di costruzione dell’immaginario simbolico che sottende le drammaturgie dell’agire nella loro trasfigurazione estetica. L’elemento performativo, centrale nel lavoro della Gioffrè, si rintraccia in quasi tutti i lavori dell’artista, che sempre portano con sè la traccia dell’azione che li ha generati.

Il tratto della ripetizione nella durata è chiave poetica dell’artista che fa dell’arte una preghiera della corporeità desiderante. In Gioffrè non vi è alcuna volontà politica di sovvertire l'ordine delle cose, ma vi è invece un deciso recupero della narrazione lirica, della dimensione fiabesca delle culture precedenti alla fede.

E non deve trarre in inganno il titolo “Memoria di un giardino”, perché lo sguardo di Gioffrè non è mai diretto esclusivamente alla dimensione privata, ma punta invece a indagare sulle sorti dell'uomo all'interno della rete sociale e delle costruzioni collettive Dopo anni di sperimentazioni all’estero e in Italia insieme ad altri giovani artisti contemporanei, Maria Luigia Gioffrè, sceglie la sua terra, la Calabria e il MARCA, il Museo delle arti di Catanzaro, per allestire la sua prima mostra personale.

 

 

BIOGRAFIA.

Maria Luigia Gioffrè nasce a Soverato in Calabria, nel 1990. Nel 2008 intraprende gli studi presso la facoltà di legge e consegue la laurea triennale in Scienze Politiche nel 2012. Nel frattempo, il desiderio di apprendere il mezzo e il linguaggio fotografico si fa spazio e tra il 2010 e il 2013 frequenta l’Istituto Superiore di Fotografia di Roma dove si diploma nel 2013.

Dal 2013 in poi, Maria Luigia inizia un’esplorazione delle arti in maniera multidisciplinare: dalla fotografia alla scrittura, al video, al teatro fino alla performance art. Tra il 2013 e il 2015 vive a Torino, dove intraprende la sua ricerca nelle arti performative al di fianco di registi che si riveleranno essere quelli che l’artista considera i suoi più grandi maestri per la propria formazione artistica e umana.

Si trasferisce poi nel Regno Unito, a Londra, dove perfeziona gli studi in arte visiva e affina la sua ricerca presso Central Saint Martins School of Arts and Design, University of Arts London, dove si laurea nel 2017, anno in cui vince anche il Celeste Prize per la sezione istallazione, scultura e performance, a cura di Fatos Ustek.

Attività recenti includono: Zurich Meets London, Cabaret Voltaire (Londra, UK, 2016), Tate Modern, Tate Exchange (Londra, UK, 2017), Venice International Performance Week (Venezia, Italia, 2017 ), Art Night&Whitechapel Gallery (Londra, UK, 2017), Grizedale Sculpture (Grizedale, UK, 2018), Cassata Drone (Palermo, Italia, 2019) , Guler Sanat Galerisi (Ankara, 2019). La sua ricerca è stata ospitata in conferenze e mostre presso varie istituzioni accademiche quali: Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano, Italia, 2018), Chelsea College of Arts (Londra, UK, 2018), Pacifica Graduate Institute (Santa Barbara, California, USA, 2019).

Tra il 2018 e il 2019 è stata inoltre selezionata per Aesthetica Art Prize 2019 presso York Art Gallery di Londra e in prima selezione per Art For Environment 2018 presso Hauser&Wirth ‘The Land We Live in” che vince invece l’anno successivo, presso Tenuta dello Scompiglio nella sezione “On Death and Dying”.


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